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Comunicazione e ascolto #1

[di Velleda Dobrowolny]

Quale che sia la tua età, l’orecchio ascolta ogni giorno qualcosa di nuovo
Proverbio africano (swahili)

Una cosa che mi ha sempre affascinata è il complesso processo della comunicazione e ascolto che ci coinvolge tutti ogni giorno nelle situazioni più varie.

Un’esperienza diffusa oggi è quella di essere sommersi dalle notizie, dalle continue informazioni che si riversano nelle nostre orecchie e sugli schermi telematici, in un flusso ininterrotto che ci gratifica e nel contempo ci obbliga ad esercitare un controllo selettivo. Possiamo comunicare con migliaia di amici attraverso i social network che ormai ci seguono ovunque.

Tutto ciò è davvero arricchente se sappiamo gestire bene le possibilità che ci vengono offerte e cavalcare l’onda informatica da esperti surfisti. Il rischio a volte è di rimanere in superficie, o di passare molto del nostro tempo in una comunità virtuale dove possiamo mascherarci meglio.
Quando siamo in presenza delle persone, se la relazione è sincera, riusciamo davvero a comunicare, ad ascoltarci reciprocamente, e questo è davvero un grande dono.

Anche qui però ci sono dei trabocchetti ben camuffati! Spesso, senza che ce ne rendiamo conto, la comunicazione interpersonale è solo apparente e ci si ritrova a parlare “a senso unico alternato”, una comunicazione insoddisfacente perché superficiale o semplicemente egoistica: parlo io, ti racconto di me e poi tu mi racconti di te e ci scambiamo il turno… il più presto possibile!

Ma quanto c’è di vero interesse umano, vero ascolto in questa comunicazione?

E quante volte facciamo lo stesso con noi stessi, per esempio quando cessiamo di ascoltare i messaggi del nostro corpo, oppure i richiami e i desideri della mente chiudendoci nell’alibi del “fare” quotidiano, salvo poi a cercare facili antidoti allo stress fisico e mentale che ne consegue? Quante volte poi rimuoviamo pensieri spiacevoli sperando che si risolvano da soli e ci lascino in pace se non li ascoltiamo!

L’ascolto dunque non è un atto automatico, e soprattutto non appartiene solo alla sfera dell’udito. È uno degli ingredienti principali di una buona comunicazione ed è un atto di consapevole apertura, un dono a se stessi e all’altro. Ci impone di rinunciare a ricevere selettivamente solo ciò che desideriamo, ciò che filtriamo a nostro beneficio. Ci chiede la fiducia e l’umiltà di continuare a imparare dagli altri, dalla sincronicità degli eventi e delle parole, e a volte si tratta di ascoltare davvero una parte più profonda di noi stessi che tenta di comunicare con noi.
[Leggi la seconda puntata!]

 

Counseling sportivo #1: cos’è e a cosa serve

Inauguriamo con questo post una serie breve di interventi dedicati al counseling sportivo, uno dei rami di applicazione del counseling cui DOF si dedica da oltre dieci anni e che insegna all’interno di SPC, come parte del programma del Master in Counseling per lo sviluppo organizzativo. Partiamo con una panoramica sul counseling sportivo e sui principi generali che lo regolano. Proseguiremo con due approfondimenti sul lavoro che si può fare col singolo atleta e con la squadra.


Perché il counseling si dovrebbe occupare di sport

 

Lo sport rappresenta da sempre uno specchio per l’uomo, uno schermo su cui vengono proiettati i valori e le emozioni di una collettività. Oggi il gesto sportivo ha una forza di rappresentazione pari a pochi altri, una capacità di generare partecipazione che rimane unica all’interno della società contemporanea (perlomeno, quella occidentale). Lo sport rappresenta a tutti gli effetti uno degli ultimi linguaggi rituali di aggregazione e di condivisione emotiva, uno degli ultimi spazi allargati e non privati in cui si mette in scena un rito collettivo con una forte valenza sociale.
Si tratta di uno spazio prezioso, che può essere educativo e motivante, positivo e costruttivo. Proprio perché lo sport ha ancora questa grande forza rappresentativa, la capacità di immortalare il livello di possibilità dell’essere umano, il suo potersi innalzare in modo consapevole a degli stati di eccellenza tramite il lavoro e l’impegno personale, il counseling non può non occuparsene. Continua a leggere

Le parole sono importanti: attenzione al TU

“Perché non mi ascolti mai?”
“Non mi capisci!”
“Perché sei sempre in ritardo?”
“Devi studiare o prenderai dei brutti voti!”
“Non sei di alcun aiuto!”

Frasi che diciamo di continuo o che ci sentiamo rivolgere dalle persone con cui viviamo e lavoriamo. Vi suonano famigliari? È normale, perché prima o poi le pronunciamo tutti, ci vengono naturali e determinano il nostro modo di comunicare e di relazionarci con gli altri. In inglese le chiamano “You statements” ovvero frasi che ruotano attorno al “TU”.

Siamo sempre pronti a sottolineare cosa non va negli altri, a ritenere che siano loro a dover cambiare facendo il primo passo, a pensare che se in una relazione c’è qualcosa che va storto è di sicuro responsabilità dell’altro, sempre e comunque. Il problema è che questo modo di esprimersi finisce per compromettere la qualità della relazione, per il semplice fatto che espressioni come queste contengono quasi sempre qualche forma di giudizio. E lasciar trasparire un giudizio, una sorta di accusa sul modo in cui l’altro si comporta non fa che metterlo sulla difensiva. Chi si sente attaccato si difende, anche questo è normale, e perde la voglia di ascoltarci davvero. Nel peggiore dei casi, si arriva al conflitto aperto.

Il risultato è un cortocircuito comunicativo, un “dialogo fra sordi” che non porta ad alcun cambiamento nei comportamenti della persona. Può quindi essere utile partire da se stessi, per esempio, abbandonando gli “You statements” e cominciando a comunicare tramite “I statements”.

Come fare? Per esempio, lavorando sul feedback ecologico. Questo consente a chi parla di farsi carico, esprimendole, delle proprie emozioni e a chi ascolta di prendere consapevolezza dei comportamenti che creano disagio nell’altra persona.

Per approfondire, consigliamo l’articolo della psicologa clinica indiana Mahima Gupta, Communication: “You” v/s “I” Statements.

 

L’articolo è stato pubblicato in origine sul sito dei Circoli di ascolto organizzativo

Il counselor come artigiano dell’ascolto #2

L’ascolto non è solo questione di contesto. Potremmo creare il contesto di lavoro più efficace del mondo, ma ritrovarci a non sapere che farcene. Questo perché l’ascolto, pur essendo qualcosa che tutti possiamo praticare, richiede, come tutte le cose, un bel pò di allenamento. Allora, mi pare di poter dire che un counselor sia una persona che, nel corso della sua storia professionale e della sua vita, si trova molto spesso ad allenarsi ad ascoltare. Voglio dire che la capacità di ascoltare l’altro, che viene supportata da una serie di tecniche specifiche che ci aiutano a mantenere viva la relazione di ascolto e a portarla a un livello ulteriore, non la otteniamo una volta per tutte. Non esistono persone che hanno il “dono dell’ascolto”, una specie di superpotere che consente come per magia di instaurare una relazione autentica con l’altra persona. Come in tutti i lavori veri, nel counseling c’è molto da fare in termini di sviluppo e riaggiustamento delle proprie capacità.

A volte, leggendo i lavori di autori come Carl Rogers [inserire voce Wikipedia: http://it.wikipedia.org/wiki/Carl_Rogers ], si viene colti da un misto di ammirazione e scoraggiamento. Quelle che passano per la testa sono frasi come “Straordinario!” e poi “Ma io non ci riuscirei mai!”

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Il counselor come artigiano dell’ascolto #1

Quando a un counselor viene chiesto “che lavoro fai?”, di solito c’è un momento di silenzio imbarazzato. Qualche anno fa, incontrando per caso una ragazza che lavorava nell’ambito della relazione d’aiuto e del counseling, mi ricordo uno sguardo carico di identificazione e una domanda davvero emblematica: “Ma tu sei riuscito a far capire ai tuoi amici e ai tuoi parenti in cosa consiste il tuo lavoro?”
Insomma, il counselor rimane una specie di oggetto misterioso, qualcuno che fa un lavoro che per definizione è difficile da spiegare. Vorrei provare a ragionare proprio su questo aspetto, nel tentativo di dire esattamente cos’è un counselor, quali sono le sue competenze, quale può essere il valore aggiunto che un approccio basato sul counseling può dare ai suoi clienti (individui o gruppi, organizzazioni o team sportivi). Continua a leggere

Public Speaking

Uno dei temi che maggiormente mi appassiona nell’ambito del counseling di processo è quello del sostegno alla comunicazione efficace, aiutare le persone a essere coerenti e a proprio agio nella comunicazione con l’altro e anche nel parlare in pubblico. Su questo tema ho avuto occasione di lavorare nell’ambito di un interessante master universitario organizzato dall’Università di Udine qualche anno fa, un master pensato per incoraggiare la partecipazione femminile alla vita pubblica, istituzionale e politica in Italia, un tema che trovo sia molto attuale e di grande rilevanza sociale.

Quello che segue è un breve estratto del mio intervento nel volume pubblicato al riguardo:

“Parlare in pubblico rappresenta oggi più che mai una sfida a tutti i livelli. Se è vero che qualsiasi speaker si trova esposto a trecentosessanta gradi: a livello intellettuale, emotivo, sociale, personale, tanto più è esposta la persona che intraprende con coraggio un percorso per dare un contribuito costruttivo all’interno di un’istituzione o in ambito politico. Continua a leggere

Principi e valori della Scuola di Process Counseling

Scuola di Process Counseling, qual è il metodo di lavoro che viene applicato all’interno di questa scuola?

All’interno della nostra scuola la parte fondante è rappresentata dal lavoro su se stessi. La scuola supporta la persona a riconoscere le proprie risorse con un metodo fortemente esperienziale, dove si lavora per sperimentare concretamente ciò che si dice da un punto di vista teorico. L’obiettivo è quello di scoprire le proprie risorse interne e raggiungere una maggiore autoefficacia,  per costruire un progetto di vita, un progetto professionale che riesca a far emergere il proprio talento.
La scuola parte da due modelli epistemologici di riferimento: l’approccio centrato sulla persona di Carl Rogers 1 e il process work di autori come Arnold Mindell 2. Un’altra direzione significativa del counseling di processo è data dagli studi sull’empowerment all’interno delle organizzazioni.
La nostra scuola, che opera da più di dieci anni sul mercato, continua a fare ricerca e a fondare i suoi risultati scientifici sul lavoro portato avanti con organizzazioni nazionali e internazionali. A partire da questo approccio siamo riusciti ad aiutare molte persone a sviluppare diverse professioni legate al mondo della relazione d’aiuto e dell’apprendimento: counseling, coaching, formazione e consulenza. Lavorare sul counseling di processo prima di tutto diventa uno stile di vita. Continua a leggere

Notes:

  1. Carl Ramson Rogers è stato uno psicologo statunitense, fondatore della terapia non direttiva e noto in tutto il mondo per i suoi studi sul counseling e la psicoterapia all’interno della corrente umanistica della psicologia. http://it.wikipedia.org/wiki/Carl_Rogers
  2. Arnold Mindell è uno psicologo americano, scrittore e fondatore del Process Oriented Psychology http://en.wikipedia.org/wiki/Arnold_Mindell

La Scuola di Process Counseling

Alla fine degli anni novanta, io e Paolo Callegari abbiamo messo a fuoco il modello teorico originale del counseling di processo ed è iniziata ufficialmente l’attività della Scuola di Process Counseling. Dopo anni di esperienze concrete e di lavoro sul campo, per noi era tempo di riflettere ed elaborare il senso di tanti progetti realizzati con le persone e con le organizzazioni per far emergere le potenzialità e l’unicità dell’essere umano nei suoi contesti di vita.

Da allora il counseling di processo sì è evoluto come modello teorico e pratico in contesti molto diversi: in ambito organizzativo e aziendale all’interno di progetti sullo sviluppo delle risorse umane, in ambito sanitario all’interno di percorsi sui modelli di cura e di relazione, in ambito sportivo come modello di supporto per atleti e allenatori a livello professionistico, nell’ambito pubblico come esperienza di facilitazione all’interno di progetti ministeriali sulla comunicazione e sulle modalità di partecipazione civica. Continua a leggere