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Comunicazione e ascolto #2

[di Velleda Dobrowolny]

Vi è mai capitato di desiderare di essere di nuovo bambini? A me sì, certamente! Credo e spero di avere ancora una bella parte bambina dentro di me che mi permette di non prendere troppo sul serio me stessa, di portare un po’ di leggerezza quando serve!
Una caratteristica del bambino è anche la capacità di imparare e di meravigliarsi, di essere flessibile e di cambiare. Per recuperare questa capacità è utile esercitare l’ascolto empatico, cioè ascoltare le persone cercando di mettersi nei loro panni e condividere, per quanto è umanamente possibile, il loro sentire. Questo sentire però non deve diventare un “fare proprio” che sequestra vissuti altrui, ma un temporaneo ingresso nelle emozioni dell’altro al fine di comprenderne lo stato interiore, il punto di vista, i pensieri e le reazioni e poterli restituire verificando così la nostra capacità di entrare, per così dire, nell’anima dell’altro.

L’ascolto empatico è l’attività volta a comprendere quanto più fedelmente gli interlocutori, a percepirne i sentimenti ed a comprendere i significati, anche quelli latenti o addirittura inespressi. Questo tipo di ascolto ha pure una valenza terapeutica: quando veniamo ascoltati in questo modo abbiamo la sensazione di essere veramente compresi, anzi, di più, ci permette di vedere il nostro riflesso nell’altro e quindi di comprendere noi stessi più a fondo.

Avrete senza dubbio sperimentato momenti in cui vi siete sentiti ascoltati pienamente, e momenti in cui non vi siete sentiti di condividere le vostre emozioni, la vostra fragilità.
Quando l’ascoltatore ascolta davvero, empaticamente, ci si sente liberi, a proprio agio, soprattutto non giudicati!
Nell’ascolto empatico l’ascoltatore adotta ciò che Carl Rogers, uno dei padri del counseling, chiama l’ipotesi del terapeuta, cioè la fiducia che chi parla ha la capacità intrinseca di comprendere se stesso e gli altri, di risolvere i suoi problemi e di crescere.

Ciò significa che possiamo fare un servizio migliore ai nostri amici e parenti invece di cercare di risolvere i loro problemi, di dare consigli, di rassicurare o compatire. Possiamo semplicemente ascoltare e cercare di capire il loro punto di vista, dando loro nel contempo il beneficio della nostra congruenza, una risposta empatica che riflette i principi secondo i quali noi viviamo, il nostro modo di essere.
[continua…]

Leggi il primo contributo su Comunicazione e ascolto!

Comunicazione e ascolto #1

[di Velleda Dobrowolny]

Quale che sia la tua età, l’orecchio ascolta ogni giorno qualcosa di nuovo
Proverbio africano (swahili)

Una cosa che mi ha sempre affascinata è il complesso processo della comunicazione e ascolto che ci coinvolge tutti ogni giorno nelle situazioni più varie.

Un’esperienza diffusa oggi è quella di essere sommersi dalle notizie, dalle continue informazioni che si riversano nelle nostre orecchie e sugli schermi telematici, in un flusso ininterrotto che ci gratifica e nel contempo ci obbliga ad esercitare un controllo selettivo. Possiamo comunicare con migliaia di amici attraverso i social network che ormai ci seguono ovunque.

Tutto ciò è davvero arricchente se sappiamo gestire bene le possibilità che ci vengono offerte e cavalcare l’onda informatica da esperti surfisti. Il rischio a volte è di rimanere in superficie, o di passare molto del nostro tempo in una comunità virtuale dove possiamo mascherarci meglio.
Quando siamo in presenza delle persone, se la relazione è sincera, riusciamo davvero a comunicare, ad ascoltarci reciprocamente, e questo è davvero un grande dono.

Anche qui però ci sono dei trabocchetti ben camuffati! Spesso, senza che ce ne rendiamo conto, la comunicazione interpersonale è solo apparente e ci si ritrova a parlare “a senso unico alternato”, una comunicazione insoddisfacente perché superficiale o semplicemente egoistica: parlo io, ti racconto di me e poi tu mi racconti di te e ci scambiamo il turno… il più presto possibile!

Ma quanto c’è di vero interesse umano, vero ascolto in questa comunicazione?

E quante volte facciamo lo stesso con noi stessi, per esempio quando cessiamo di ascoltare i messaggi del nostro corpo, oppure i richiami e i desideri della mente chiudendoci nell’alibi del “fare” quotidiano, salvo poi a cercare facili antidoti allo stress fisico e mentale che ne consegue? Quante volte poi rimuoviamo pensieri spiacevoli sperando che si risolvano da soli e ci lascino in pace se non li ascoltiamo!

L’ascolto dunque non è un atto automatico, e soprattutto non appartiene solo alla sfera dell’udito. È uno degli ingredienti principali di una buona comunicazione ed è un atto di consapevole apertura, un dono a se stessi e all’altro. Ci impone di rinunciare a ricevere selettivamente solo ciò che desideriamo, ciò che filtriamo a nostro beneficio. Ci chiede la fiducia e l’umiltà di continuare a imparare dagli altri, dalla sincronicità degli eventi e delle parole, e a volte si tratta di ascoltare davvero una parte più profonda di noi stessi che tenta di comunicare con noi.
[Leggi la seconda puntata!]